di Angelo Chiodo

Se ne va un altro dei miti sacri della musica italiana.

E per “musica italiana” intendiamo un genere che ben si discosta dallo stereotipo del cantante leggero cresciuto a pane e musicarelli (gli anni 50-60 anni avevano esattamente quel sapore) ma affondiamo le mani avidamente in una sottospecie di humus tutto nuovo.

Franco Battiato parte da Iona (un piccolo comune esistito dal 1939 al 1945, ora inesistente) e conquista tutti.
Ha conquistato gli appassionati del pop negli anni 60; ha conquistato i fanatici della musica “prog” negli anni 70 e si butta anche nell’avanguardia proponendo musica elettronica ai limiti della musica “ambient” per poi ritornare su un genere più congeniale al panorama musicale italiano invadendo e contaminandosi, però, di musica folk, etnica fino ai confini della musica lirica e della direzione d’orchestra. Tale approccio è riuscito in pratica a 2 soli autori e l’altro era Lucio Dalla, quindi parliamo di livelli altissimi.

Mentre scriviamo l’articolo, ci ritornano alla mente le parole e il sound della sua canzone probabilmente più sperimentale, tra il grottesco e l’horror, tra il futuristico e il rock progressivo; ovvero quel capolavoro immortale di Shock in my Town che mescola svariate componenti unite ad un testo aperto, coinvolgente e dalle differenti sfaccettature: la critica nel futuro (rozzi cibernetici signori degli anelli) e la critica sociale (stiamo diventando come degli insetti, simili agli insetti).

Nel testo c’è tutto Battiato, tutta la sua eleganza e il suo essere intellettuale; scrive Repubblica “E’ morto il genio della musica italiana”, mentre Il Corriere della Sera recita “[…] l’eterno enigma di un maestro senza confini”.

Nostro, ma non nostrano, anziano ma non vecchio Battiato propone versioni personali addirittura di arie al limite della sacralità quantomeno nel testo, L’Esodo del 1982, parte integrante dell’album, appunto, L’Arca di Noè e poi il suo “Masterpiece”, ovvero La Cura; l’unico tentativo ad oggi noto e riuscito in cui un cantante descrive come la musica e le parole siano in grado di “proteggere” e “curare”; eppure non si può non alzare un po’ il tiro e farla sembrare la voce di Dio.



Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te”


Ce ne sarebbe da parlare per mesi probabilmente e un articolo non può descrivere tutto quello che l’uomo ha realizzato in 76 anni di vita, perché la sua non è stata una carriera, ma una vita improntata alla sperimentazione. Annovera peraltro 7 opere tra cortometraggi e film in qualità di regista.

Ma in fondo è naturale, chi è nato dall’unione di due comuni e da un dissidio politico, sociale ed economico, che ha portato ad una spaccatura (Giarre e Riposto, poi unificati come, Iona, poi nuovamente Giarre e Riposto) nasce “diverso” e sperimenta.

Esoterismo, Filosofia, Misticismo, Retro-futurismo, critica sociale. Ce n’è per tutti nei suoi testi e nella sua musica.
Lui ci lascia, per intraprendere un nuovo viaggio, ma resterà con noi in eterno e la sua musica verrà sempre cantata, celebrata e osannata, anche, speriamo, dai meno giovani.
A maggio del 2021 perdiamo un condottiero spiritual-musicale importantissimo e, mentre ci avviciniamo alla tanto desiderata estate, riprendiamo una delle sue immagini più belle, che unisce perfettamente spiaggia e cinema (che ha sofferto parecchio recentemente) come sinonimi della ripresa di una normalità e serenità che mai male può fare.

“Passammo l’estate
Su una spiaggia solitaria
E ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto
E sulla sabbia un caldo tropicale
Dal mare”